"Educare i figli è un'impresa creativa, un'arte più che una scienza"
Bettelheim

3 maggio 2019

LE DOLENTI NOTE DELLA SCUOLA


La Camera ha abolito le sospensioni e le note alla scuola primaria apprendo stamattina dai mezzi di informazione (https://www.lastampa.it/2019/05/03/cultura/scuola-abolite-le-sospensioni-e-le-note-sul-diario-alle-elementari-tio1icavEuTj9lUQpbBDXP/pagina.html).
Cerco di approfondire e capisco che si tratta dell'abolizione di un articolo di un Regio Decreto addirittura del 1928. Da allora è radicalmente cambiata non solo la scuola, ma la pedagogia, le famiglie, la cultura, l'infanzia e lo stesso concetto di disciplina e punizione.
Mi chiedo tuttavia se fosse necessaria un'abolizione per legge. Ho la sensazione che in tutti gli ambiti della società si proceda per nuove leggi e norme, sostituzione di vecchi divieti con nuovi divieti, senza mai preoccuparsi di incidere sulla cultura - in senso lato e profondo - della società. Come se un divieto in più o in meno possa - di per sé- modificare le relazioni e trasformare le mentalità e non accada invece il contrario.
Mi spiego. Se un insegnante oggi vuole gestire la classe senza usare le note, ma altri strumenti didattici ed educativi, può farlo. Non mancano i riferimenti teorici, tecnici, didattici, le occasioni di formazione ecc. Non ha bisogno di un cambiamento al Regio Decreto. Ed in effetti molte insegnanti già lo fanno (le sospensioni alle elementari poi sono già cosa molta rara). In genere la qualità delle relazioni e la disciplina ne guadagnano. Tuttavia se un insegnante per abitudine o in via eccezionale ricorre alle note non sarà un nuovo divieto a fornirgli degli strumenti alternativi di intervento. Si parla della convocazione dei genitori nell'ambito del patto di corresponsabilità educativa scuola-famiglia. Parola splendide. Come non condividerle. Peccato che la scuola italiana versi in condizioni materiali, organizzative e pedagogiche sempre più difficili, che il rapporto fra scuola e famiglie sia uno dei capitoli più critici della vita della scuola, che la possibilità per le insegnanti di dedicarsi -davvero- ad un Progetto Educativo Individualizzato per ogni alunno sia di fatto pura utopia, che le energie per apprendere metodologie didattiche che non prevedano le note (e neanche i voti o le interrogazioni o le lezioni solo frontali per esempio) siano ormai ridotte al lumicino, sopraffatti come sono dalla fatica, dal caos, dalla burocrazia, dalla mancanza di riconoscimento, dalla demotivazione, dalla paura del rapporto con le famiglie.
Non sarà questo divieto a cambiare il modo di fare scuola. E invece di questo ci sarebbe davvero bisogno. Ma di questo lo Stato non si preoccupa, avendo piuttosto pensato in questi ultimi anni a derubricare la scuola da luogo di apprendimento e formazione ad azienda che deve produrre efficientemente e al minor costo possibile. I costi sono stati ridotti in effetti. Ma la scuola è un campo di macerie. 

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