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Partendo da questa domanda di una mamma ho cominciato a interrogarmi con lei su cosa è il rispetto.
E' una parola che usiamo molto spesso. Chiediamo rispetto. Ci aspettiamo rispetto. Ma che cosa significa?
In genere intendiamo la cosiddetta "buona educazione": ci aspettiamo che i nostri figli non ci rispondano in modo sgarbato, non ci offendano o non ci dicano parolacce, non ci aggrediscano fisicamente o verbalmente. E che lo stesso accada con gli altri adulti.
Sembra ovvio. Ma perché - ci siamo chieste con quella mamma - un figlio ci rispetta? Da dove viene questo confine insuperabile del rispetto?
Ecco è già arrivata una parola importante! Confine. Il rispetto è un confine. Una linea di comportamento che non può essere superata. Perché? La domanda non è solo uno sterile esercizio filosofico. E' importante perché se capiamo cosa è il rispetto possiamo anche capire meglio come ottenerlo. Che è un problema che molti di noi hanno, specie con figli adolescenti.
Allora torniamo a noi: da dove viene questo confine? Dal fatto che siamo i genitori, gli adulti. In altre parole dal ruolo. Ma questo oggi non basta. Il discorso è complesso, ma - in estrema sintesi- possiamo dire che oggi il ruolo si conquista nel campo della relazione giorno per giorno, non è dato a priori per il semplice fatto di essere genitore, insegnante, anziano ecc.
Allora torniamo alla domanda, come costruire una relazione in cui ci sia rispetto? Con la mia compagna di esplorazione abbiamo capito che una possibilità è la paura. Mio figlio mi rispetta perché ha paura. Delle punizioni. Delle mie reazioni. Del mio potere. Prima accadeva così quasi sempre. Oggi a volte ancora accade. E' una scelta possibile. Improntare un rapporto con i propri figli alla paura e al potere. Non mancherà il rispetto. Almeno quello esteriore. La "buona educazione" come dicevamo.
E se non voglio scegliere la paura come base del rispetto? Ecco dobbiamo interrogarci ancora.
Abbiamo rigirato la domanda allora. Noi chi rispettiamo? Rispettiamo i nostri figli?
Sempre più questa parola ci appariva oscura. Così comune, eppure sempre più opaca.
Alla fine abbiamo chiesto aiuto alla parola stessa, alla sua storia. Rispetto viene dal latino respicere, che significa "aver riguardo, considerare", a sua volta formato da RE-,"che accenna ripetizione e indugio" e SPICERE ,"guardare" (https://www.etimo.it/?term=rispetto). Dunque il rispetto è la considerazione dell'altro, nasce dallo sguardo attento, ripetuto, pieno di attenzione per l'altro. Io ti rispetto perché ti vedo. Perché ti considero, so chi sei, di cosa hai bisogno, cosa senti. Non nasce dal potere e dalla paura, ma - ancora una volta - dalla qualità della relazione. Forse ora scopriamo che le persone che rispettiamo sono quelle importanti per noi, cioè quelle che vediamo e che ci hanno visto.
E allora - continuando il viaggio - i figli ci rispettano se noi li rispettiamo, cioè li guardiamo con attenzione.
Ma non basta credo. I figli ci rispettano se ci guardano con attenzione. E' una relazione appunto, un confine. Se noi adulti non ci mostriamo, non ci facciamo guardare, nei nostri bisogni, nei nostri desideri, se noi stessi non ci guardiamo, allora non c'è rispetto. In altre parole se diciamo sempre si, se non diciamo mai "questo non lo voglio", "questo non mi piace" e "questo mi piace", questo si e questo no. Con chiarezza e decisione. Se cerchiamo sempre di accontentarli (che è ben diverso dal vederli). Se noi non siamo noi, se ci perdiamo nei desideri e nelle richieste dell'altro non ci sarà rispetto. E non solo con i figli, ma con chiunque.
Ecco, il rispetto nasce dal sapere chi sono io e chi sei tu.
La "buona educazione" viene dopo.
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