"Educare i figli è un'impresa creativa, un'arte più che una scienza"
Bettelheim

22 ottobre 2018

QUANDO NON VOGLIONO PIU' ESSERE ABBRACCIATI

A volte succede all'improvviso. Altre volte un po' alla volta. Altre volte è possibile solo di nascosto, al riparo da sguardi indiscreti. Oppure solo in momenti speciali. Fatto sta che la maggiorparte degli adolescenti a un certo punto non vuole più gli abbracci. Non solo non vogliono più le coccole, ma spesso - non sempre - si allontanano fisicamente, si tengono e ci tengono a distanza, anche col corpo. E se proviamo ad avvicinarci e ad abbracciarli si ritraggono, o peggio.
Questo per molti genitori, mamme in particolare, è un grande dolore.
La mancanza a volte improvvisa di contatto, tenerezza, complicità fisica appare rifiuto, indifferenza. Ai tentativi di ritrovare la vicinanza perduta fa spesso seguito una rispostaccia che ribadisce la nuova distanza e questo fa male.
Poi magari accade che di colpo, senza un'apparente ragione, in modo quasi furtivo, sia il ragazzo o la ragazza ad avvicinarsi e richiedere - a volte quasi con timidezza - la coccola di un tempo. E magari ci trova spiazzati, indaffarati, impreparati, incapaci di cogliere l'attimo fuggente. E se questo accade lui o lei si arrabbia. Lo prende come un rifiuto, ci accusa di non capire e di non esserci. E noi non ci capiamo più niente. Rimaniamo stordite, pensando di aver di fronte un figlio nuovo, un marziano che parla una lingua improvvisamente sconosciuta, di cui non possediamo né grammatica né vocabolario.
Che succede?
Succede che a un certo punto della vita bisogna prendere le distanze. E si comincia a farlo col corpo.
L'adolescenza serve a completare quel processo di differenziazione dai genitori e di definizione della propria individualità iniziato con il taglio del cordone ombelicale.
Ora bisogna portare a termine l'impresa, pena una fatica di vivere troppo grande.
Ma l'impresa è ardua. Perché la voglia di rimanere vicini è forte. E più è forte più bisogna allontanarsi. Per non cadere in tentazione. E se dall'altra parte c'è un richiamo continuo alla vicinanza allora la fatica è ancora più grande e a volte la fatica diventa rabbia. E la distanza si fa incolmabile. Perché se mi avvicino vengo risucchiato in quel mondo infantile che è bello, ma che ora mi ostacola e a cui sento di non appartenere più.
E allora che possiamo fare noi genitori? Noi mamme orfane di un abbraccio e del bacio della buonanotte?
Innanzitutto facciamocene una ragione. Gli abbracci torneranno, da adulto ad adulta auspicabilmente, quando sarà il tempo. L'infanzia è andata. Speriamo di averne goduto gioie e fatiche il più possibile. Ma ora non c'è il deserto.
Ora c'è la presenza. Lo sguardo. Lo sguardo che segue i nostri figli da vicino ma con discrezione, che li guida senza abbandonarli a sé stessi, ma senza pretendere che rispondano ai nostri desideri. Lo sguardo di chi li lascia andare continuando a osservarli. Restando lì da dove partono, perché quando vogliono tornare sappiano dove trovarci. Allora tornano, ci abbracciano forse, e poi ripartono.

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