I nostri figli hanno delle difficoltà. Tutti e tutte.
C'è chi è troppo impulsivo, chi è troppo timido, chi teme di non riuscire e si tira indietro, chi fa amicizia con fatica, chi tende a comandare e chi a subire, chi si arrende subito di fronte alle difficoltà e chi ha paura di sperimentare cose nuove. Solo per fare degli esempi.
I genitori mi raccontano delle varie difficoltà dei propri figli e figlie con preoccupazione. Chiedendosi e chiedendomi se si tratta di aspetti patologici e che cosa si può fare per risolvere il problema.
Innanzitutto sgombriamo il campo dal timore - sempre dietro l'angolo - della patologia. Dobbiamo sospettare una patologia quando un comportamento è generalizzato (interessa più ambiti e aree), impedisce lo svolgimento di attività o funzioni (per esempio non si riesce ad andare a scuola), provoca stati di sofferenza. In questi casi è importante attivarsi con i vari specialisti per capire cosa succede e affrontare nel modo più opportuno la situazione.
Ma nella maggiorparte dei casi non è di questo che si tratta. Parliamo di difficoltà che i bambini e le bambine affrontano quotidianamente, con fatica certo, con disagio anche, ma senza che questo si trasformi in un blocco. Non sono patologie, ma fragilità. Umanissime fragilità. E fasi di crescita e cambiamento. Un bambino è timido e fa fatica fare amicizia? Non è una malattia da curare. Ma un aspetto da sostenere. Forse una caratteristica individuale che rimarrà in via definitiva e quel bambino sarà un adulto che avrà pochi amici molto ben selezionati. Perché dovrebbe essere un problema? O forse invece diventerà un adulto espansivo e circondato da molte relazioni. Chissà...!? Dipende da noi genitori? In parte, forse. Per il resto dipenderà dalla vita. E siamo sicuri che una cosa sia meglio di un'altra? Siamo persone diverse e tali resteremo per fortuna. Ognuno con le proprie caratteristiche. Chi è timido e chi è espansivo, chi introverso e chi estroverso. Differenze e peculiarità, non problemi da risolvere.
Cosa possiamo fare noi genitori? Quello che possiamo fare sempre e comunque, in ogni situazione: osservare, ascoltare e sostenere. Che - vi assicuro - non è poco.
Osservare i nostri figli: vedere cosa fanno, come lo fanno, come stanno, chi sono. Ascoltarli quando ci manifestano una difficoltà, una fragilità, una sofferenza. A scuola, con gli amici, con se stessi, con noi. Senza pensare subito che ci sia un problema da risolvere, che stiano chiedendo a noi la soluzione magica. Solo ascoltare, con apertura e disponibilità. Sostenere, cioè affiancare, cercare insieme possibili alternative, dare il nostro punto di vista, o qualunque altra cosa ci sembri importante fare o dire. Tutto questo si riassume in una parola: esserci. Questo è il nostro compito. E non è affatto facile né di poco conto.
Mi chiedo però perché così spesso ci facciamo questa domanda. Ho il dubbio che dietro questo interrogativo ci sia la fantasia di un figlio perfetto, sempre adeguato, mai in difficoltà, che non (ci) pone mai problemi. Come se ogni inciampo o situazione critica diventi un test sulla sua normalità, la sua adeguatezza e, quindi, la nostra come genitori. Le difficoltà, gli inciampi, le fragilità fanno parte degli esseri umani. Anzi io credo ne costituiscano la bellezza. L'insieme unico e irripetibile di fragilità e risorse rende speciale e bellissimo ciascuno di noi. Adulti e bambini.
Non c'è nulla da correggere, riparare, curare. Solo persone da accompagnare nella crescita. Faticosa e meravigliosa al tempo stesso.
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