Per i genitori è difficile vedere i figli e le figlie in difficoltà. E' difficile vederli piangere, vederli tristi, spaventati, vederli in difficoltà nelle prime relazioni con gli altri bambini, o alle prese con la frustrazione a scuola, con la paura di non riuscire, è difficile vederli affrontare le prime grandi delusioni in adolescenza.
E' naturale. Ma forse ultimamente ci stiamo spaventando un po' troppo. Abbiamo il mito dell'infanzia felice. Il terrore del trauma. Le trasformazioni culturali degli ultimi decenni hanno costruito in noi genitori l'idea di un bambino che non deve soffrire, perché se soffre significa che non è abbastanza amato. Che è infelice. E la sua infelicità dipende da noi. E allora il compito dei genitori diventa quello di eliminare le difficoltà per il figlio o la figlia. Perché non pianga, non sia triste, non abbia paura, non sia escluso, non sia frustrato, non sia insicuro, non sia mai deluso né solo.
Tutto questo naturalmente non è possibile. Anzi finisce coll'essere dannoso.
Di fatto inevitabilmente nella vita ogni persona incontra tutte queste situazioni: tristezza, paura, dolore, frustrazione, insicurezza, delusione, solitudine, e chi più ne ha più ne metta. Se il genitore semplicemente le rimuove restano emozioni che non si possono affrontare, perché non si impara a farlo.
Se appena si rompe un gioco e il bambino si dispera glielo ricompriamo, non sperimenterà che si può perdere qualcosa, che il dolore può passare e che ci sono dei modi utili per farlo passare.
Se appena un bambino ha paura di una situazione gliela evitiamo, non capirà di avere la forza per superare i propri limiti.
Se appena un bambino non riesce a fare un compito, glielo facilitiamo - facendolo al suo posto o evitandoglielo - non imparerà che si può non riuscire, che non è un dramma e non imparerà che a volte, insistendo, si riesce.
Se appena un bambino ha una difficoltà di relazione con un coetaneo interveniamo per far andare le cose come vogliamo noi, per il suo bene, non imparerà come si possono gestire i rapporti interpersonali.
La vera sfida non è non incontrare situazioni faticose e dolorose - cosa impossibile appunto - ma saperle affrontare e superare. Per poi provare nuovamente - e con più intensità a volte - gioia, appagamento, sicurezza, fiducia in sé e negli altri, senso di appartenenza e riconoscimento. Magari anche felicità. Tutta quella gamma di emozioni e sentimenti positivi che ogni genitore vuole donare al proprio figlio e figlia.
Che fare allora? Come sopportare che nostro figlio o nostra figlia soffra e sia in difficoltà?
Affiancandolo nel tollerare la difficoltà e nel trovare un modo utile per superarla, scoprendo le risorse interne ed esterne che ha a disposizione e come utilizzarle.
Un gioco rotto può essere salutato, per esempio, e possiamo accettare che pianga per far passare il dolore della perdita.
Possiamo rassicurarlo per superare una paura e se non si rassicura subito stare comunque insieme.
Possiamo spronarlo ad insistere nel fare una cosa non facile, magari suggerendo altri modi per farla. E accettare che si arrabbi se non riesce.
Possiamo ascoltarlo e accoglierlo se ha un problema con un coetaneo e lasciare che sperimenti dei modi per risolvere il suo problema.
In altre parole possiamo riempire un bella cassetta di attrezzi utili a vivere. Ogni difficoltà quotidiana può essere un modo per trovare l'attrezzo giusto per quella situazione, scoprire come si maneggia e riporlo nella preziosa cassettina. Un attrezzo per affrontare il dolore, uno per tollerare la frustrazione, un altro per superare la paura. E via dicendo. Quando sarà grande porterà con sé nella vita questa cassetta degli attrezzi e quando sarà in difficoltà cercherà l'attrezzo giusto e saprà come usarlo. Quale dono più grande?
Il punto però è: noi abbiamo la nostra cassetta degli attrezzi? E in che stato di manutenzione è?
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