"Educare i figli è un'impresa creativa, un'arte più che una scienza"
Bettelheim

13 novembre 2017

FIGLI NELLA RETE



L'odio in rete e i rischi che corrono i nostri figli. Se ne è parlato oggi all'incontro "Io ti odio: conversazioni sul cyberbullismo e linguaggio estremo" nell'ambito del RomaEuropa Festival, curato da Famiglia punto zero. Moltissimi gli spunti. Ma uno in particolare ha stimolato la mia riflessione.

Gli adolescenti di oggi - si narrava con vari aneddoti - valutano sé stessi e gli altri in base al numero di follower. In altre parole - si diceva - la ricerca del consenso è al centro della loro esperienza.
Tuttavia - riflettevo- la ricerca del consenso è fondativa dell'adolescenza stessa. E lo è sempre stata. Nel consenso (che possiamo anche chiamare popolarità) dei coetanei, del proprio gruppo di riferimento, un ragazzo o una ragazza trovano l'immagine riflessa di sé - o almeno di una sua parte. E questo contribuisce a formare un'idea di sé. In altre parole un'identità. Che non passa più solo attraverso l'immagine riflessa che ne davano i genitori, ma che ora, fisiologicamente, ha bisogno di confrontarsi con l'immagine che l'Altro ha di me e mi rimanda.

Il punto è che fino a qualche tempo fa tutto ciò avveniva attraverso relazioni. Nel rapporto diretto, corporeo, fra i ragazzi e le ragazze. Il gruppo di riferimento era un gruppo reale e il consenso - o la popolarità - erano quelli reali del contesto di appartenenza di ciascuno. Soprattutto erano solo quelli. Ancora oggi nella maggioranza dei casi gli adolescenti si mettono alla prova in razioni reali, ma ora non sono più solo quelle. Si aggiunge un gruppo virtuale, la rete, il mondo intero, sconosciuti con i quali non si instaura alcuna relazione, alcun contatto corporeo, ma che pure contribuiscono in modo determinante a creare consenso, popolarità. In altre parole a rimandare un'immagine, a formare l'identità. Follower.

Che fare dunque? Perché vista così la prima risposta è quella di spegnere tutto e basta. Black out. Protezione assoluta. Ma, come sappiamo, questo non solo non è possibile - da una certa età in poi - ma sarebbe dannoso, perché di fatto escluderebbe i nostri figli dal loro mondo - perché questo è il loro mondo, il nostro non esiste più - e dal loro gruppo di riferimento. Paradossalmente anche da quello reale, che anche se  esiste nella realtà e nella corporeità, comunque utilizza la rete.

Che fare dunque? Ecco che - a mio parere - ritorna il tema centrale della Responsabilità. Quella del genitore in primis.
Responsabilità innanzitutto nel senso di uso di regole minime e indispensabili che da più parti ormai sono esplicitate, per quanto raramente applicate:
  1. mai uno smartphone prima delle scuole medie
  2. controllarne i contenuti
  3. stabilire regole e limitazioni al suo uso (tempi, luoghi, contesti, modalità)
  4. infomare i ragazzi e le ragazze dei rischi della rete e come proteggersene
  5. essere informati su come funzionano i social che usano i nostri figli
  6. essere di esempio, facendo noi stessi un uso responsabile, corretto e non dipendente dello smartphone
Ma c'è dell'altro, qualcosa - a mio parere - di più profondo.
La ricerca del consenso - nel senso in cui ne parlavo prima - in fondo non è altro che la ricerca di uno sguardo. Se ho 2 milioni di follower, vuol dire che 2 milioni di persone mi vedono. Mi vedono perché guardano i miei video o le mie foto o i miei post, ma mi vedono anche nel senso che dicevo prima, mi rimandano uno sguardo su di me. Il loro sguardo mi conferisce identità. Io sono perché sono visto.
Tanto più ho bisogno di essere visto quanto più nessuno, nella mia realtà quotidiana mi vede. Quanto più intorno a me, le persone concretamente più vicine non mi guardano e, a volte, non mi hanno mai guardato. Perché di fretta, perché prese da sé e dai ritmi dei nostri tempi, perché distratte o non interessate.

Penso che questa sia la nostra vera, prima Responsaibilità. Vedere i nostri figli e le nostre figlie, avere uno sguardo continuo su di loro, non dimenticarcene, anche quando sono più grandi e chiudono la porta della loro camera o ci parlano continuando a guardare il cellulare. Guardarli, esserci, ascoltarli - anche se spesso non ci parlano. Essere presenti per loro.

Questo solo, credo,  può davvero proteggerli. Essere visti.

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