"Educare i figli è un'impresa creativa, un'arte più che una scienza"
Bettelheim

23 settembre 2019

ANNO NUOVO SCUOLA NUOVA: BUON CAMBIAMENTO!

Foto di Prawny da Pixabay
Le scuole e i nidi sono iniziati. Per molti bambini e bambine, ragazzi e ragazze è l'inizio di un nuovo viaggio. E, insieme a loro, anche per noi genitori.
Che si tratti dell'inserimento al nido o alla scuola dell'infanzia, che sia l'inizio della scuola primaria o secondaria o anche delle superiori è certamente un periodo importante e faticoso di cambiamento.
Non solo perché nei primi anni i periodi di inserimento o ambientamento sono spesso molto lunghi e mettono a dura prova le risorse organizzative delle famiglie. Ma soprattutto perché, di qualunque inizio si tratti e in qualunque modo sia organizzato, segna un passaggio. Una fase di crescita e di cambiamento del bambino (o del ragazzo), ma anche della relazione con i genitori.

L'inserimento al nido è la prima importante separazione, la prima occasione nella quale affidiamo nostro figlio o nostra figlia ad un contesto estraneo e non più ad una sola persona scelta da noi, ma ad una collettività, di adulti e di bambini (e di genitori anche). E' un passaggio che richiede fiducia nella struttura e nel bambino e che risulta spesso molto faticoso sia per il genitore - in  particolare la mamma - sia per il bambino.

Queste stesse difficoltà si affrontano all'inizio della scuola dell'infanzia se non si è fatta l'esperienza del nido. E in ogni caso questo nuovo ciclo coincide con l'acquisizione di nuove autonomie, un maggiore rapporto bambini-insegnanti, con le quali si instaura anche un rapporto solitamente più distante e dunque meno rassicurante rispetto a quello con le educatrici del nido. Ma soprattutto coincide con l'inizio della socializzazione e tutta la complessità dei rapporti fra pari.

Il passaggio alla scuola primaria segna l'inizio dell'apprendimento, con tutta l'ansia da prestazione che oggi questo comporta in bambini e genitori, la difficoltà delle regole, della concentrazione prolungata e dell'apprendimento frontale e in ambiente chiuso e ristretto, con poche possibilità di movimento. Inizia il problema dei compiti a casa.

Poi la secondaria (la scuola media): l'inizio di una nuova - e spesso troppo improvvisa - autonomia, a volte difficile da gestire, anche in questo caso sia per i figli che per i genitori. Un nuovo modo di apprendere e studiare e di relazionarsi con la scuola e i docenti. Cui si aggiunge il cambiamento profondo nelle relazioni fra coetanei e nel proprio corpo. Una tempesta di cambiamenti da governare per i genitori.

Infine, l'inizio della secondaria superiore: l'inizio della vera e propria adolescenza, il progressivo distacco dal nucleo familiare, i conflitti che ne derivano, le diverse richieste della scuola a seconda dell'istituto scelto.

Solo problemi e preoccupazioni allora? Come sostenere i nostri figli in questi passaggi impegnativi?

Innanzitutto appunto sosteniamoli. Non graviamoli con le nostre ansie e preoccupazioni. Affidiamo queste al nostro compagno o compagna (se c'é), a un amico o amica, a un gruppo, o chiediamo consiglio ad un esperto se siamo molto preoccupati. Ma non a nostro figlio.

Diamogli tempo. Ai bambini e alla scuola. Ogni cambiamento richiede un tempo di adattamento. Variabile in base all'età (l'adattamento al nido per es. richiede alcuni mesi), al bambino, alla struttura che lo accoglie e al contesto generale. Ma in ogni caso richiede tempo. Osserviamo quello che accade senza intervenire immediatamente, lasciamo loro la possibilità di tirare fuori le proprie risorse e trovare il loro modo di adattarsi alla nuova situazione

Diamogli fiducia. I nostri figli sono pieni di risorse. Sono capaci di affrontare il cambiamento. Meglio di noi. Perché sono più giovani e quindi più duttili. Non spaventiamoci se all'inizio sono più irrequieti, o sembrano in difficoltà. Stanno cercando di adattarsi e stanno crescendo.

Diamo fiducia alle strutture. Se abbiamo scelto un nido o una scuola lo abbiamo fatto con delle motivazioni. Per quanti limiti possa avere la scuola italiana è anche piena di persone capaci e con molta esperienza. Stiamo in osservazione, ma aspettiamo a trarre conclusioni. Se abbiamo dei dubbi parliamo con le persone interessate e non coinvolgiamo i bambini.

Ascoltiamoli. I bambini piccoli non raccontano, ma il loro corpo e le loro reazioni ci dicono tante cose. Mano mano che crescono iniziano a raccontare. Non sempre come immaginiamo noi: spesso partono da dettagli per noi insignificanti ma per loro importanti. Dedichiamo loro un ascolto attento, che li aiuti ad esprimere anche gli stati d'animo e non solo i fatti, senza ricoprirli di domande, ma creando nella frenesia quotidiana uno spazio sereno e libero di ascolto (a tavola? prima di dormire?).

Vediamo le cose in prospettiva: per crescere bisogna cambiare. I passaggi sono inevitabili, sono il momento in cui si va avanti. Il ruolo del genitore è quello della guida nel viaggio. Se la guida è incerta e preoccupata, il viaggio è faticoso e malsicuro. Se la guida è salda, è sereno e pieno di cose da scoprire.

2 luglio 2019

I FIGLI NON SONO TUTTI UGUALI

Foto di John Hain da Pixabay
I figli non sono tutti uguali. Anzi sono tutti diversi.
Perché le persone non sono tutte uguali. Anzi sono - siamo - tutti diversi e diverse.
I figli sono uguali nell'amore che proviamo per loro e nel diritto (bisogno) che hanno di esso.
Per tutto il resto sono diversi. Non migliori o peggiori ovviamente, ma diversi.
Hanno età diverse innanzitutto (eccezion fatta per i gemelli evidentemente), temperamenti e personalità diverse.

Può sembrare una banalità. Eppure contrasta con l'idea largamente diffusa che i figli sono uguali appunto e che pertanto vanno trattati nello stesso modo (come afferma l'immagine sotto per esempio).

E' un'idea davvero molto diffusa che porta molti genitori a fare scelte generali valide per tutti i figli. Per esempio la paghetta o la si da a tutti o non la si da a nessuno. In tal modo il figlio più grande non l'avrà perché il fratello più piccolo non può averla, oppure il piccolo si ritrova in mano del denaro senza che sia ancora il tempo giusto. Se è il compleanno di un figlio anche l'altro avrà un regalo "sennò ci resta male". Se compro un paio di scarpe all'uno devo comprarle anche all'altro. E via di questo passo.

Questo crea però un livellamento che non corrisponde alle diverse esigenze e non permette dunque di rispondere ai bisogni individuali di ciascun figlio e figlia.
Un esempio volutamente molto banale: se un figlio ha un disturbo intestinale devono mangiare tutti riso in bianco? Spero vivamente che la risposta sia no.

Io credo che lo stesso principio si applichi alle situazioni più complesse. Per venire agli esempi citati sopra: la paghetta non va bene per tutte le età e allo stesso modo l'importo cresce con l'età. Si può cominciare a darla al più grande o differenziarne l'entità, motivandola esplicitamente con la differenza di età: quando anche il più piccolo raggiungerà l'età adeguata anche lui o lei avrà la sua paghetta. In questo modo si valorizza anche il ruolo del figlio più grande solitamente caricato di doveri e responsabilità ("tu sei il più grande devi fare il bravo"), che però non corrispondono quasi mai a maggiori possibilità.
Continuando: tutti hanno un compleanno all'anno, ciascun figlio ha la possibilità di vivere un momento di gioia e centralità quando riceve i regali per il proprio e dovrà imparare a rimanere in secondo piano quando tocca al fratello o alla sorella.
Le scarpe prima o poi servono a tutti, ma non nello stesso momento. Si comprano quando servono a ciascuno. L'importante è che a ogni figlio vengano riconosciuti i propri bisogni specifici e che vengano soddisfatti.

In questo modo la competizione fra i fratelli e sorelle diminuisce anziché aumentare, perché ciascuno si sente riconosciuto dai genitori per quello che è ed meno portato a innescare una contesa su cose che non lo interessano. Se invece instauriamo il meccanismo del "tutto uguale per tutti" attiviamo noi stessi un meccanismo di confronto continuo che diventa esasperante per tutti.

E se ci chiedono "perché a lui si e a me no"? La verità, come sempre. è la migliore risposta: "perché siete diversi e avete bisogni diversi, quando sarà il tuo momento lo avrai".

28 maggio 2019

EDUCARE E' FATICOSO


Pensiamo che quando cresceranno e saranno più autonomi sarà meno faticoso. Quando dormiranno tutta la notte. Quando non dovremo più portarci la borsa piena di cambi. Quando faranno la doccia da soli. Allora sarà più facile. 
Poi scopriamo che non è così. Dormono di più, ma "fanno i capricci" di giorno. Non vanno cambiati, ma "non ascoltano". Non si ammalano più in continuazione, ma non vogliono fare i compiti.

Ma allora non si finisce mai?
Sarò impopolare, ma si, non si finisce mai. 
Nel confronto quotidiano con i genitori alla fine si arriva spesso a questa domanda. 
E anche quando le cose vanno meglio, anche quando la quotidianità funziona abbastanza bene, senza grandi difficoltà, il commento frequente è "ma che fatica!". 

E' vero. La fatica è costante, continua e ineliminabile. Fa parte del fatto di essere genitori. Cambia, ma non finisce.
Finiscono le notti insonni, i pannolini da cambiare e le pappe da preparare. A un certo punto riproviamo il piacere di una doccia senza orario o di un film la sera sul divano. Poi non li accompagniamo più a scuola e finiscono le corse e le urla la mattina. Un giorno cominciano a restare a casa da soli e se c'è sciopero a scuola possiamo non chiamare i nonni o la baby sitter o assentarci dal lavoro. Tutto questo finisce. Per fortuna crescono. 

Ma la fatica non finisce. 
Perché essere genitori significa essere presenti. Ed essere presenti è molto faticoso. Una presenza che cambia. E anche capire come cambia è faticoso. Perché non è immediato né istintivo. 
Nei primissimi anni appunto è una presenza innanzitutto fisica: non si può non esserci, innanzitutto col corpo, e, di conseguenza, è grande anche la stanchezza fisica. Poi man mano che le necessità di accudimento diminuiscono, sempre più la presenza necessaria è emotiva, di attenzione, di vicinanza, di ascolto. Non più una stanchezza fisica, non più una presenza assidua col corpo (che anzi deve progressivamente diminuire, per lasciare loro spazi di autonomia ed esplorazione), ma con la testa e le emozioni. 
Ecco allora la fatica di dare regole e limiti e farli rispettare (fatica enorme), la fatica di lasciarli esplorare la vita senza farsi sopraffare dalla paura, la fatica di rimanere sempre in ascolto, la fatica di reggere agli strappi e alle prese di distanza dell'adolescenza.

Non possiamo mai distrarci, mai sederci pensando che siamo arrivati in fondo alla strada,. perché è proprio allora che ci richiamano in qualche modo, presentandoci qualche bel problema per dirci "ehi ma ci sei?".
Certo, come ho scritto più volte, godiamoci i bei momenti, voltiamoci spesso indietro a guardare la strada fatta, accarezziamo con sguardo fiero i nostri figli e divertiamoci il più possibile con loro. Ma la fatica resta.

Si educa sempre, in ogni momento della giornata, facendo qualunque cosa e a qualunque età. Finché non saranno adulti e, si spera, al centro della propria vita. Perché si educa con la relazione e la relazione con un figlio non finisce. Si trasforma ma non finisce. 

3 maggio 2019

LE DOLENTI NOTE DELLA SCUOLA


La Camera ha abolito le sospensioni e le note alla scuola primaria apprendo stamattina dai mezzi di informazione (https://www.lastampa.it/2019/05/03/cultura/scuola-abolite-le-sospensioni-e-le-note-sul-diario-alle-elementari-tio1icavEuTj9lUQpbBDXP/pagina.html).
Cerco di approfondire e capisco che si tratta dell'abolizione di un articolo di un Regio Decreto addirittura del 1928. Da allora è radicalmente cambiata non solo la scuola, ma la pedagogia, le famiglie, la cultura, l'infanzia e lo stesso concetto di disciplina e punizione.
Mi chiedo tuttavia se fosse necessaria un'abolizione per legge. Ho la sensazione che in tutti gli ambiti della società si proceda per nuove leggi e norme, sostituzione di vecchi divieti con nuovi divieti, senza mai preoccuparsi di incidere sulla cultura - in senso lato e profondo - della società. Come se un divieto in più o in meno possa - di per sé- modificare le relazioni e trasformare le mentalità e non accada invece il contrario.
Mi spiego. Se un insegnante oggi vuole gestire la classe senza usare le note, ma altri strumenti didattici ed educativi, può farlo. Non mancano i riferimenti teorici, tecnici, didattici, le occasioni di formazione ecc. Non ha bisogno di un cambiamento al Regio Decreto. Ed in effetti molte insegnanti già lo fanno (le sospensioni alle elementari poi sono già cosa molta rara). In genere la qualità delle relazioni e la disciplina ne guadagnano. Tuttavia se un insegnante per abitudine o in via eccezionale ricorre alle note non sarà un nuovo divieto a fornirgli degli strumenti alternativi di intervento. Si parla della convocazione dei genitori nell'ambito del patto di corresponsabilità educativa scuola-famiglia. Parola splendide. Come non condividerle. Peccato che la scuola italiana versi in condizioni materiali, organizzative e pedagogiche sempre più difficili, che il rapporto fra scuola e famiglie sia uno dei capitoli più critici della vita della scuola, che la possibilità per le insegnanti di dedicarsi -davvero- ad un Progetto Educativo Individualizzato per ogni alunno sia di fatto pura utopia, che le energie per apprendere metodologie didattiche che non prevedano le note (e neanche i voti o le interrogazioni o le lezioni solo frontali per esempio) siano ormai ridotte al lumicino, sopraffatti come sono dalla fatica, dal caos, dalla burocrazia, dalla mancanza di riconoscimento, dalla demotivazione, dalla paura del rapporto con le famiglie.
Non sarà questo divieto a cambiare il modo di fare scuola. E invece di questo ci sarebbe davvero bisogno. Ma di questo lo Stato non si preoccupa, avendo piuttosto pensato in questi ultimi anni a derubricare la scuola da luogo di apprendimento e formazione ad azienda che deve produrre efficientemente e al minor costo possibile. I costi sono stati ridotti in effetti. Ma la scuola è un campo di macerie.