Foto di Silvia Trombetta |
Cari genitori,
- Vorremmo ricordarvi che parole magiche come ciao, prego, per favore, scusa e grazie devono essere apprese a casa.
- Allo stesso modo, è a casa che i bambini devono imparare ad essere onesti, puntuali, diligenti, amichevoli e rispettosi verso il prossimo.
- È a casa che imparano ad essere puliti, a non parlare con la bocca piena e a disporre dei rifiuti.
- È a casa che imparano a essere ordinati, a prendersi cura delle proprie cose e a non toccare quelle degli altri.
- A scuola, d’altra parte, si insegnano le lingue, la matematica, la storia, la geografia, la fisica, le scienze e l’educazione fisica. Noi rinforziamo l’educazione che i bambini ricevono a casa dai propri genitori.
In effetti la questione è spinosa. Chi deve educare? I genitori o la scuola? O entrambi?
Assistiamo spesso a lamentele reciproche, dei docenti verso i genitori e di questi verso i docenti. In questo clima si crea spesso un rapporto che anziché essere di collaborazione, come dovrebbe, è invece di sfiducia reciproca e autodifesa aprioristica. In mezzo ci sono gli alunni e le alunne. Troppo spesso ormai la soluzione diventa affidare ogni bambino non "facile" alla miracolosa "valutazione", con la speranza che confermi che è il bambino ad avere delle difficoltà. Con buona pace del ruolo educativo di genitori e insegnanti.
Proviamo a fare un po' di ordine. E riprendiamoci ciascuno il proprio ruolo.
Il luogo dove impariamo la cosiddetta "buona educazione", ossia l'insieme delle regole per il vivere civile, è indubbiamente la famiglia. Dunque concordo con il cartello.
E' altrettanto indiscutibile che il compito primario della scuola è l'istruzione. Dunque anche in questo concordo con il cartello.
Tuttavia per istruire si attivano tutta una serie di processi che, come è ormai più che noto, non sono solo cognitivi ma anche emotivi e relazionali. Pertanto le insegnanti non possono prescindere da questi aspetti e rimandarli solo alla famiglia. E' compito del docente saper gestire un gruppo e attivare in esso dei processi di collaborazione tali da favorire l'inclusione e l'apprendimento. E' compito dell'insegnante sintonizzarsi sui bisogni specifici dell'alunno e attivare in lui motivazione e partecipazione. Questo non è compito della famiglia. Né dei neuropsichiatri che valutano.
Allo stesso modo non è compito dei genitori fare i compiti con i figli. Proprio perché l'istruzione è compito della scuola è lì che i compiti dovrebbero essere corretti e valutati. E, soprattutto, dovrebbero essere realmente commisurati al livello di apprendimento degli alunni, perché il genitore non è tenuto ad affiancare il figlio. Nè è detto che possa farlo, anche per ragioni linguistiche e socio- culturali. Se no faranno bene i compiti solo i figli di genitori disponibili e mediamente istruiti. Questa è una fondamentale questione di inclusione.
Ciò che i genitori devono invece insegnare ai propri figli è il senso del dovere, il rispetto dell'adulto e del compagno. Il rispetto dell'ambiente e del materiale. Che non è poco. Tutto questo si impara in famiglia. Innanzitutto con l'esempio. E con le regole. Che solo se vigono in casa possono essere poi riconosciute e rispettate fuori.
A ciascuno il suo, dunque. Se ognuno fa la sua parte e riconosce il valore dell'altro si pongono le basi di quella collaborazione che spesso manca. In fondo non è proprio questo quello che lamentiamo mancare negli alunni? Assunzione delle proprie responsabilità e rispetto per l'altro.
A ciascuno il suo, dunque. Se ognuno fa la sua parte e riconosce il valore dell'altro si pongono le basi di quella collaborazione che spesso manca. In fondo non è proprio questo quello che lamentiamo mancare negli alunni? Assunzione delle proprie responsabilità e rispetto per l'altro.
"Troppo spesso ormai la soluzione diventa affidare ogni bambino non "facile" alla miracolosa "valutazione", con la speranza che confermi che è il bambino ad avere delle difficoltà."
RispondiEliminaPienamente d'accordo... spesso ci si rivolge a professionisti per gestire le difficoltà dei propri figli solo per scaricarsi da responsabilità. Dovremmo capire prima noi da dove derivano le difficoltà dei nostri figli e capire se non siamo anche noi causa delle loro difficoltà. C.