"Educare i figli è un'impresa creativa, un'arte più che una scienza"
Bettelheim

25 giugno 2018

S.O.S. SCUOLA EDUCATIVA CERCASI


Con la fine dell’anno scolastico si sono verificati episodi molto gravi di insegnanti minacciati o picchiati da genitori di ragazzi bocciati e suicidi in seguito alla bocciatura. Non è la prima volta. Ma la percezione è che siano fatti più frequenti che in passato. Non ho dati per confermare questa impressione. Ma - al di là di questo – temo che il fenomeno abbia radici molto profonde.

Negli ultimi anni la scuola non è più pensata come il luogo dove formare le nuove generazioni. Ma il luogo dove istruire le nuove generazioni. Il cambiamento è radicale, e – a parer mio – molto pericoloso.  

Formare infatti implica occuparsi della crescita della persona: conoscenze in primo luogo, ma anche capacità di mettere in relazione le conoscenze sia fra loro sia rispetto a sé stessi, di articolare un pensiero critico sul  sapere e sulla realtà. Si tratta di un processo educativo che comporta l'integrazione fra il sapere, il saper fare e il saper essere.

Istruire invece significa trasferire conoscenze. Per acquisire quelle che con un termine oggi molto di moda si chiamano competenze, o skills. In quale contesto personale, culturale o di pensiero queste competenze si inseriscano sta diventando secondario. D’altronde sono le competenze quelle che occorrono per essere competitivi (parole con la stessa etimologia) nel mondo del lavoro. Perché l’obiettivo è comunque questo. Produrre (uso questo termine volutamente) lavoratori per un mercato del lavoro sempre più competitivo appunto e non persone –e cittadini- capaci di un pensiero critico su sé e sul mondo, portatori di un progetto di vita che non implichi solo avere delle conoscenze e saper fare delle cose ma anche essere individui pensanti in relazione con altri individui pensanti capaci di contribuire allo sviluppo di una comunità.

I mutamenti della scuola negli ultimi anni vanno tutti in questa direzione. La reintroduzione dei voti già dalla primaria, gli Invalsi, la riduzione del corpo docente e lo smantellamento del Tempo Pieno – sistema formativo all’avanguardia nel mondo -, il dimensionamento degli Istituti e il nuovo ruolo della dirigenza. Per citare solo alcune delle “riforme” che hanno segnato questa trasformazione silenziosa e incontrastata. Le scuole sono sempre più simili ad aziende che erogano un prodotto che deve essere il più efficiente -anche economicamente- e soddisfacente possibile. Basta partecipare a un open day di una qualunque scuola per trovarsi di fronte più ad uno spot pubblicitario che alla presentazione del percorso formativo per i nostri figli. Esempio estremo ne è stata quest’inverno l'autopromozione di alcuni licei romani come luoghi privi di alunni difficili. Perfettamente coerente con questo sistema: qui vostri figli non troveranno ostacoli nella loro – e vostra- corsa alla preparazione più efficiente e massimamente spendibile.

Se questo è il contesto culturale attuale non mi stupisce che una bocciatura sia- in estremo - intollerabile, incoffessabile o insuperabile. Che un genitore si ritenga leso perché la scuola che ha scelto non soddisfa le sue aspettative sul prodotto. La violenza ovviamente non è mai comprensibile né giustificabile. Ma non è questo il punto su cui voglio soffermarmi. Perché anche molti genitori che non usano la violenza si lamentano e contrastano (pensiamo ai ricorsi al TAR) le decisioni della scuola, in più occasioni – bocciature, sospensioni, note – comportandosi come clienti insoddisfatti di un servizio e non certo come adulti co-educanti.


Quella di questi anni è una vera e propria emergenza educativa. Scandalizzarsi per i recenti fatti di cronaca equivale alle fatidiche lacrime di coccodrillo. E’ necessario –direi indispensabile- rimettere la persona al centro dei processi trasformativi della società. E non solo nella scuola. 

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